Quando lessi “La danza della realtà” di A. Jodorowski una scena mi colpì più di qualsiasi altra: quella in cui, sulla nave che dal Cile portava alla Francia, gettava tra i flutti l’agenda con tutti i suoi contatti, pronto a iniziare una nuova vita. Se ripenso a quel me stesso un po’ speranzoso e un po’ spaventato che dal finestrino dell’aereo osservava la pista dell’aeroporto di Madrid, il 29 giugno 2013, pronto per decollare in direzione di Bogotà, Colombia, credo che mi stesse accadendo qualcosa di simile : stavo partendo per rimanere un mese, ma sarei alla fine rimasto per quasi un anno. Ciò che, pur senza saperlo, mi stavo lasciando alle spalle erano una serie di sofferenze, attaccamenti e schemi mentali che fino ad allora avevano caratterizzato la mia vita. Voglio raccontare tutto dall’inizio, da quei primi momenti di volo.
Seduta al mio fianco c’era una signora Colombiana, simpatica, sulla quarantina. Grazie al diario che ho scritto durante i nove mesi colombiani posso ora ricordare che era sposata con uno spagnolo, viveva in Andalusia e si chiamava Magdalena. Chiacchierammo per un’oretta parlando di cultura, Italia, Spagna, futuro, clima, passioni e viaggi fino a che la notte insonne precedente prese su di me il sopravvento. Dormii per otto ore filate e mi risvegliai quando stavamo per atterrare. Il mio sogno ardentemente coltivato per tanti mesi si era realizzato: ERO IN COLOMBIA!
La Colombia è un paese splendido. Il clima equatoriale rende le coste e le pianure calde e ricolme di vegetazione lussureggiante, mentre nella parte andina il clima è più temperato. La capitale Bogotà, situata a 2600 metri di altitudine, nella mappa del paese che vidi in un ostello di Cali, veniva rappresentata con un frigorifero…. ma il mio parere avendo conosciuto gli inverni di Bologna, è che i 18 gradi perenni della capitale colombiana risultano tutt’altro che sgradevoli. Ho scritto perenni perché in Colombia non esistono le stagioni : niente estate, né autunno, né primavera, né tanto meno inverno. La temperatura si mantiene sempre costante e il sole va giù sempre alla stessa ora : alle sei. E infatti c’è una canzone di Shakira che dice “desde el dìa que no estàs, veo la noche llegar mucho antes de las seis” (da quando non ci sei più, per me la notte arriva prima delle sei). Avrebbe senso in Italia? Ovviamente no, dato che da noi le giornate si allungano e si accorciano, ma così non è quando ci si avvicina all’equatore : qui rimangono sempre uguali. È uno spettacolo a cui non è facile fare l’abitudine, ma a mio parere gradevole.
Nella mia classifica delle delizie colombiane, non riesco poi a non pensare alla FRUTTA, scritta proprio così : maiuscolo e grassetto. Varietà, sapori e colori sono incredibili : entrare in un supermercato e avvicinarsi al banco della frutta o comprarla dai tanti venditori ambulanti che la vendono per strada (e a volte te la fanno assaggiare) è uno spettacolo unico. Molti colombiani si bevono almeno una volta al giorno un jugo (cioè un frullato): jugo de Lulo, de Maracuyà, de Guanabana, ce n’è per tutti i gusti! Mmm…mi sto già auto-convincendo che più avanti pubblicherò un articolo dedicato alla frutta colombiana, credo che ne valga la pena…
E poi c’è la MUSICA che è presente un po’ dappertutto: nei bar, nei locali, per strada, nei supermercati e sugli autobus. A volte pure troppo presente. A natale, mentre viaggiavo verso Ipiales (frontiera con l’Ecuador) alle due di notte l’autista teneva la musica accesa. Andai ad implorarlo di spegnerla ma la sua risposta “Se la spengo mi addormento” mi fece prontamente cambiare idea. Anzi, gli dissi, se magari vuole alzare un po’ il volume…. E c’è poi da dire che la musica in Colombia è un veicolo di festa, allegria e, socializzazione. Come per la frutta, c’è una grande varietà di generi: cumbia, vallenato, champeta, reggaeton, salsa…solo per citarne alcuni. Molti fra questi si ballano in coppia e a differenza del nostro bel paese, in cui c’è sempre un po’ (troppo!) pudore legato al ballo ed al corpo in generale… là invitare una ragazza a ballare è un gesto comune ed accettato. Si balla una canzone, ci si conosce, magari da cosa nasce cosa o magari no, la canzone finisce e ognuno torna a divertirsi con i suoi amici : questo aspetto della socialità colombiana, così tranquillo e privo di complicazioni mi faceva impazzire e non nego che mi manca assai. Credo che in Italia avremmo bisogno tutti quanti di dis-complicarci un po’.
Ma venendo alla “mia” Colombia, mi sento di dire che persi il cellulare con oltre cinquecento foto dei primi due mesi passati oltreoceano, si salvarono le poche che avevo caricato su facebook, come quella in alto che ritrae il mio secondo giorno, nel paese di Tenjo, a circa un’ora di viaggio da Bogotà. Mi piace questa foto perché ritrae un paesino che ho amato ed amo, perché è una delle poche rimaste di quel periodo e perché ritrae la Colombia che preferivo (quella dei campesinos, agricola, quella andina, interna, con paesaggi sconfinati e natura ancora selvaggia) ma anche perché ricordo le emozioni di quel momento : era incredibile essere lì e ripensarci adesso mi da delle sensazioni difficili da descrivere a parole (…un problemino se stai scrivendo un blog…) forse per esprimerle meglio dovrei imbracciare una chitarra e iniziare suonare, o alzarmi in piedi e ballare in modo forsennato (la mia prima sera in Colombia, un sabato sera, la passai in effetti in discoteca, una discoteca di Tenjo…), ma temo che anche questo potrebbe non aiutare, quindi lascio per ora in sospeso questo argomento. Diciamo che, in generale, ero contento di essere lì ed al contempo preoccupato di poter stare solo un mese.
Sembro pazzo eh?
Non lo nego, probabilmente ero pazzo, anzi, magari lo sono anche adesso. Fatto sta che avevo tanta voglia di staccare dall’Italia. Ma più che l’Italia avevo voglia di staccare da ME: mi ero stancato di me stesso, della mia vita fino a quel momento, avevo bisogno di un cambio. Ero salito su un aereo ed ero arrivato fino a lì. Ottimo. Ma mentre passeggiavo per i sentieri che portano alle montagne che circondano Tenjo pensavo che tutto quello splendore non poteva durare solo un mese: dovevo inventarmi qualcosa.
E infatti, grazie a Dio, grazie all’universo, qualcosa mi sono inventato ed ho avuto l’opportunità di rimanere.
Se lo spiraglio ti è piaciuto…prima di salutarci…dagli un mi piace! Grazie
E se vuoi proseguire nella lettura dell’avventura in Colombia, ecco il prossimo spiraglio colombiano: Colombia, la lunga strada verso i Caraibi.
Arrivederci al prossimo spiraglio!
Lascia un commento