Caro lettore, o lettrice, come prima cosa benvenuto, o benvenuta, su Spiragli di Luce.
Io sono Elvio, e sono un’anima viaggiatrice. E, in questo viaggio, fatto anche di racconto e di scrittura, non avrei mai immaginato di arrivare a scrivere un articolo diviso in 4 puntate.
Ma le cose, pur senza averle programmate, hanno preso questa piega e, dunque, eccoci qui alla quarta e (forse) ultima puntata di questa storia.
Ma cosa stiamo raccontando?
Ho capito: anche stavolta non riuscirò a non fare il nostro caro e tanto amato passo indietro.
Dunque, il passo indietro ci conduce a riassumere, più o meno, i seguenti eventi: che in una notte d’autunno, a causa di una serie di cicostanze più o meno irripetibili, mi ritrovai a parlare con una ragazza con cui mai avevo parlato prima.
Una ragazza che – in teoria – si sarebbe dovuta trovare a circa 10.000 km da me, ma che in pratica era comodamente seduta su un treno, proprio in quell’istante, e che quel treno sarebbe passato dopo un’oretta a circa 1 km da casa mia.
Alla stazione di Bologna.
Tutto questo, e anche il seguito, se ti sei perso le Puntate precedenti, le trovi qui:
Molto bene. E adesso, finalmente, possiamo proseguire da dove ci eravamo lasciati.
E, cioè, da una città che ha il ruolo di guardiana del Sacro Graal.
Guardiagrele, Abruzzo.
Insomma, la barista del bar di Guardiagrele mi riconosce.
Era stata un’associazione locale, ragazzi molto in gambissima, a chiamarci per suonare “La buona novella”, una lettura concerto che avevamo ideato per mettere in scena, in una chiave rivisitata e personale, l’omonimo album di De André.
Ah, a proposito, se non mi hai mai visto in veste di musicista, mi ci puoi vedere subito. Precisamente proprio mentre suonavo La Buona Novella:
Beh, qui, a dire il vero, eravamo a Castiglione della Pescaia, in provincia di Grosseto, mentre La buona novella mi portò a Guardiagrele qualche anno prima. Credo nel 2006.
Una “buona novella” di genere un po’ diverso, mi ci riportò alcuni anni dopo. Nel 2012.
Ed ecco che, un po’ frastornato da questo incontro, torno a Lanciano, incontro lei, e le faccio una proposta.
Sto per aprire bocca quando lei dice: aspetta, devo dirti una cosa.
“Domenica torno in Colombia“
Eh? Cosa? Come? Chi? Aspetta un attimo, dov’è che torni?!?
Queste parole arrivano come una sferzata di ghiaccio, in quel momento in cui, fino ad allora, c’era stata solo magia.
Faccio mentalmente i conti: sono partito di martedì, il concerto era mercoledì, sono tornato giovedì, (cioè ieri), oggi è venerdì, siamo ancora a Lanciano e lei parte domenica.
Ma, ormai, come ben sappiamo, caro lettore, o lettrice, il Rubicone l’avevo varcato.
Prima di partire, vuoi venire a Bologna con me?
Mi guarda. Ci Pensa. Sorride. Dice di sì.
Partiamo.
Dal Rubicone a Roma
E così, altri 400 km, altre 4 ore – ma tanto, ormai, ero praticamente diventato un pendolare di quella tratta – e torniamo a Bologna.
Questa volta, insieme.
Passiamo insieme un weekend, proprio a Bologna, proprio nei posti che tanto amavo, ed era veramente veramente strano essere in quei posti con lei.
E ci sarebbero tante cose da dire, caro mio lettore, o lettrice, forse così tante che – adesso, almeno, per adesso – non me la sento.
Forse questa parte della storia rimarrà sempre privata. Forse, un giorno, la racconterò.
Ma il punto è che – e la storia ce l’ha insegnato – c’è solo una città in cui andare dopo aver attraversato il Rubicone.
Quella città…beh…qualla città si chiama Roma.
Da dove parte il tuo aereo?
Da Roma. Dice così.
Salto spazio temporale.
È già domenica.
Ed ecco che, di nuovo, vado alla stazione di Bologna.
Stavole, però, non è per vederla arrivare. È per vederla partire.
E fu così che, per la quarta volta, sembra che siamo arrivati al nostro saluto definitivo.
(Pausa)
(Silenzio)
(Attesa)
“Ecco, senti” – mi dedico infine a parlare – “Credo che, se possibile, verrò a Roma con te”.
Mi guarda in silenzio e non risponde.
Pochi minuti dopo l’Eurostar per Roma, partiva dal primo binario.
E in qualche scompartimento, non ricordo quale, di qualche vagone, non ricordo quale, c’eravamo lei e io, mano nella mano.
Via dal Rubicone.
Verso la capitale.
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La magia della vita
Non so se sono mai stato così felice in vita mia.
Uè, guaglio’, ma che dici?
Sì, è vero, eccome se sono stato felice così e forse di più. E guarda, può darsi che proprio della fine di questo Spiraglio io riesca anche a dirti quando e dove.
Però, in quel momento, allora, quella sera, fui tanto tanto felice.
Ricordo ancora la bellezza di camminare, la sera, con lei, in via dei Fori Imperiali.
Le luci che illuminavano, nella notte, la maestosità degli edifici senza tempo, e noi passeggiavamo, circondati da tanta bellezza.
Fuori e dentro di noi.
Sì, era tutto molto bello, ma sentivo anche una certa nostalgia per il distacco imminente. E non riuscivo a non pensare a quella scena di L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera, in cui loro si sentono tristi, ma gli italiani – dice il romanzo – facevano chiasso tutto intorno. E quel chiasso sembrava alleviare almeno in parte la tristezza.
Ecco, c’era qualcosa di fatalmente simile, in quella scena.
La quinta volta che ci salutammo, lei tornò a Medellin. E io…niente…io tornai alla mia vita, nel dotto, rosso e grassissimo, quasi obeso (di nostalgia) capoluogo emiliano.
Da quel momento, non l’avrei rivista mai più.
No, dai, scherzo!
Eh già, intedevo dire che…non l’avrei rivista più…almeno per allora, per quel viaggio, e in quell’anno.
Perché un anno dopo, precisamente il 29 giugno del 2013, dall’aeroporto di Madrid, decollava un aereo, diretto proprio in Colombia.
Su quell’aereo c’era il sottoscritto, che si preparava a solcare l’oceano convinto di restare un mese.
Già, un mese.
Sai quanto sono rimasto?
Sono rimasto due anni.
Ma questa, caro amico, o amica, è per davvero un’altra storia e, magari, prima o poi, la racconterò per intero.
Perché tutto questo, tutto ciò che ho raccontato in questi 4 Spiragli, è ancora niente rispetto a ciò che accadde da quel momento in poi.
E ti confiderò una cosa.
Ho pensato tante volte di scrivere un libro, per raccontare quel periodo. Non l’ho ancora fatto, ma…chissà. Chissà quali spiragli di luce ci riserva il futuro.
Per adesso, mio caro lettore, o lettrice, sono felice di averti raccontato per lo meno come tutto ebbe inizio. Sono felice di averti portato, anche se solo per qualche istante, nel realismo magico di Spiragli di Luce.
In quel luogo magico e misterioso in cui, la versione migliore di noi stessi esiste, è possibile, è reale, in ogni istante e per tutti.
Sono contento che tu sia stato, o stata, qui. Se il racconto ti è piaciuto, e pensi che possa ispirare altre persone…
…sentiti libero di condividerlo.
Io ti mando un grande abbraccio, pieno di spiralgi di luce.
Elvio
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