Caro amico o amica, ti do il benvenuto di cuore alla terza puntata di questo racconto.
Se ti sei perso le prime due, sappi che riguardano il racconto di un incontro molto particolare che mi condusse, poi, fino in Colombia.
Qui sotto trovi le puntante precedenti:
La magia e il mistero della vita – parte uno
La magia e il mistero della vita – parte due
Ma adesso gettiamoci a capofitto nella storia, e ricostruiamo lo scenario in cui ci muovevamo, mentre cercavo di comprendere se fosse giusto baciarla o meno.
Stiamo camminando. Lei al mio fianco, da un lato, e la bici, portata a mano, dall’altro.
Giungiamo nei pressi di una torre. Non la Garisenda, e neppure la ancora più celebre Torre degli Asinelli. Una torre di cui ignoro il nome, una delle tante che sono disseminate nel centro storico di Bologna.
Centro storico in cui, come è risaputo, “non si perderebbe neanche un bambino” ma, in effetti, tanta era l’emozione del momento, che è proprio così che mi sentivo: un po’ bambino e un po’ perso.
La guardo. È veramente bella. E le emozioni che sento assomigliano molto al magma di un vulcano in ebollizione.
Anche lei mi guarda, stiamo in silenzio, tutti e due.
Ed ecco che, lentamente, dolcemente, mi avvicino e iniziamo a baciarci.
Arriva il Treno
Torniamo alla stazione, il treno sta per arrivare, ci siamo appena trovati e già dobbiamo salutarci.
Non c’è tempo per pensare, pianificare, comprendere cosa sta accadendo. Un ultimo bacio e lei sale sul treno. Torno a casa e il vulcano, in me, è più attivo che mai.
Parcheggio la Legnano, salgo fluttuando le scale, ma stavolta dal basso verso l’alto. Entro in cucina. I miei coinquilini mi guardano. Cerco di dissimulare, ma – nonostante l’ascendente in Scorpione – la mia espressione tradisce l’accaduto.
“Dai, Elvio, cos’è successo, racconta”.
Inutile sottrarsi, e così, parte il racconto.
Ma quanto dista Bari?
Fammi aprire Google Maps. Sette ore. 685 Km. Un bel viaggetto.
Rifletto. E sento che, in fondo, il Rubicone, ormai, l’ho attraversato. Sono in una nuova timeline. E da qui, indietro non si torna.
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Lanciano, Bologna…Macondo!
E così parto per Lanciano.
Eh? Cosa? Che c’entra Lanciano? E poi…dov’è Lanciano?!?
Calma, calma, calma, lasciami raccontare.
Lanciano è un comune italiano di 34 132 abitanti della provincia di Chieti, in Abruzzo. Ho appena copiato la frase da Wikipedia. Volevo dare un tono di ufficialità alla cosa.
Nel frattempo, da Bari, lei si era spostata, appunto, a Lanciano.
E dato che Bologna, da Lanciano, dista solo 4 ore, e 400 km, non mi restava che partire.
Eccomi in macchina, che guido sull’A14. Se mi ricordo bene, era martedì.
“Di Venere e di Marte, non ci si sposa e non si parte”.
Ma sai che certi proverbi mi sono stati sempre antipatici? Così antipatici che, quel martedì, partii per Lanciano. Arrivai quando lei stava finendo la sua giornata di studio – lavoro.
Stava facendo, una “pasantìa“, una sorta di periodo misto di ricerca, lavoro e studio per l’Universidad Nacional di Bogotà, e si trovava lì perché – proprio a Lanciano – c’era un istituto importante per il suo settore di ricerca.
Fu una giornata stupenda. Serata, ancora più stupenda. Sai, è difficile da dire, cosa si prova quando incontri qualcuno con cui senti e sai che quell’incontro non è un incontro qualsiasi. Provi quella sensazione di essere lì da sempre, di conoscersi da sempre e che il tempo si sia fermato.
La sera dopo, però, avevo un concerto.
Dove?
A Macondo.
Ti ricordi? Proprio nel paese di Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez.
Quello in cui, all’inizio di questa storia, avevo detto essere la mia città natale.
Ma no, dai, scherzo. A Bologna c’era – chissà se ci sarà ancora – e neanche a farlo apposta, un locale chiamato Macondo.
E l’incredibile ironia di cui il destino è dotato, mi portò proprio, dopo esser stato a Lanciano, a suonare al Macondo.
Solo che, ormai, il Rubicone l’avevo attraversato, ricordi?
Ero dall’altra parte della sponda e, dunque, viaggiai per altri 400 km, tornai a Bologna, feci il concerto – la sera di quel mercoledì – e il giorno dopo, giovedì, ne feci ancora ulteriori 400 e tornai a Lanciano.
Per incontrarla ancora una volta.
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I regali della vita, quelli belli. Quelli che non ti aspetti
Ed eccoci di nuovo insieme. Di nuovo a Lanciano.
Ma questa, caro lettore, o lettrice…
…è un’altra storia, e te la racconterò nella prossima puntata.
Dai, sto scherzando.
Insomma, mi ritrovo ancora a Lanciano. Stavolta mi fermo giovedì, e anche venerdì. Lei è impegnata, la mattina dopo, così vado a Guardiagrele.
Paese la cui etimologia, a quanto pare, sarebbe “che sta a guardia del Graal“.
L’idea di trovare il sacro Graal mi alletta, così faccio quella ventina di chilometri che separano Lanciano da Guardiagrele e, non appena arrivo, sento una sensazione strana.
Mi guardo in giro provando quella sensazione particolare del “eppure qualcosa non torna”.
Entro in un bar. E qui, caro lettore o lettrice, dovrei aprire una parentesi sul mio rapporto coi bar italiani. E coi caffè. E con la mancanza, all’estero, di posti simili.
Se ci pensi il bar, ovvero, un luogo dove vengono serviti, venduti, offerti, insieme: colazioni, caffè, bevande, pranzi, aperitivi, sigarette, alcolici, sale da gioco, biliardo, biliardino, sala tv, sala slot-machine, sala grida-imprecazioni-bestemmie durante le partite e, nell’antichità, anche il famigerato telefono pubblico…beh…questo luogo mitologico…
…il cui nome, se non lo sapevi, significa Banco a Ristoro (b-a-r), esiste solo nel nostro bel paese.
Entro, dunque, nel banco a ristoro della città che fa la guardia al sacro graal.
E la barista, dopo avermi squadrato, mi dice: ma tu non sei il cantante dei Mille Papaveri Rossi?
No, no, vabbè, aspetta, fermiamo tutto, fer-mi-amo tut-to. Avevo creato questo progetto, okay. Questo progetto musicale era abbastanza conosciuto, okay. A volte capitava – di rado, a dire il vero – che per strada, in quel di Bologna, dove suonavamo spesso, venissi fermato da qualche studente che mi rivolgeva proprio questa domanda…
…ma che ciò accadesse a Guardiagrele mi sembrava strano, piuttosto e anziché no.
Solo che a quel punto, ricordai. Qualcosa si mosse, all’interno del cervello, e dalla corteccia saltò fuori questo ricordo bizzarro: che a Guardiagrele ci avevo suonato, qualche anno prima.
E proprio con i Mille Papaveri Rossi.
Dunque, mentre ero lì, con lei, a 400 km e 4 ore da Bologna, con lei che avevo conosciuto tramite i Mille Papaveri Rossi, durante una notte in cui era l’unica in chat, e durante l’unica notte in cui avremo potuto, poi, incontrarci la mattina seguente, mi ritrovai nel banco a ristoro di un paese abruzzese in cui avevo suonato, anni e anni prima, e di cui non avevo memoria.
La magia della vita.
Mi sarebbe piaciuto concludere oggi il racconto.
Però, caro lettore o lettrice, vedo che manca ancora qualcosa.
O, meglio, vedo che ho già scritto un bel po’, per oggi (credo 1306 parole, e ora che ho scritto questa frase 1309, e ora che ho aggiunto quest’ultima cosa 1324 e…ok la smetto ?) e non vorrei condensare la parte finale che è, forse, la più bella di tutte.
La più bella, ma forse, chissà, forse anche la più triste, sicuramente la più delicata.
Non voglio rovinarti la sorpresa raccotandoti il perché adesso, dunque, ti do appuntamento alla prossima puntata.
FINE TERZA PARTE
Ah, dimenticavo: se vuoi esser certo di non perdere il prosieguo della storia, ti puoi iscrivere alla newsletter.
E se questo racconto ti sta piacendo, naturalmente, sentiti libero di condiverlo ❤️
Un abbraccio pieno di spiragli di luce.
Elvio
(copertina in alto: tratta da un’opera dell’artista Agnès Boulloche)
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