Sembra che molte partenze avvengano in un giorno di pioggia. Chissà se lassù sulle nubi Giove, o chi per lui, si diverte a rendere uggiose le giornate in cui te ne vai…o se questa è solo un’impressione di noi viaggiatori… fatto sta che, per rivedere il sole, nei giorni in cui lasci un paese, quasi sempre devi aspettare che l’aereo voli al di sopra delle nuvole.
“È un in giorno di pioggia che ti ho conosciuto e il vento dell’ovest rideva gentile”…così cantavano i Modena City Ramblers, descrivendo alla perfezione quel clima di nostalgia, intensità e saudade (…direbbero i brasiliani…), che accompagna i piccoli grandi incontri ed addii della nostra vita. Fatto sta, ragazzi miei, che ancora una volta sono tornato in Italia. Ed ancora una volta sento una sorta di squarcio nel petto, un qualcosa di simile ad un ordigno (esploso a metà) che alberga nel mio cuore, un dolce ed intenso stridore che mi riporta, in ogni singolo istante, agli ineffabili, inenarrabili ed, ovviamente, indimenticabili, momenti vissuti in Colombia.
Un viaggio, si sa, ha la certezza della partenza, ma mai quella del ritorno. Magari, tornerai, okey, ma non puoi mai sapere né quando né come lo farai…soprattutto, c’è una certezza che non potrai mai avere: nessuno ti può assicurare che il te stesso che ritorna sia lo stesso che è partito.
Ma perché amo tanto la Colombia? Perché?
Forse dovrei andare indietro nel tempo, avere la forza di Ercole per scuotere la stanza, capovolgerla e così invertire la gravità, in modo che quei granelli di sabbia, nella clessidra, invertano il loro moto e con essi anche gli eventi si dipanino in senso opposto. Dovrei tornare a quel 29 giugno 2013 in cui salii per la prima volta su un volo diretto a Bogotà. E ricostruire, frugare nella mente, rovistare nel cuore per far emergere gli avvenimenti, per riportarli a galla. Perché guardate che le cose accadute, mica stanno lì per sempre a disposizione della nostra memoria. Come nel film inside out (l’avete visto?) arriva quel momento in cui cadono là, in quel luogo oscuro, in quel baratro da cui i ricordi non escono più. Meglio rinverdirli, allora, riportarli al presente, magari parlandone, pensandoci e ridendo (o piangendo) da soli, che poi se fai la figura del fesso che te frega…in fondo tutti hanno i loro ricordi….momenti intensi che ti fanno innamorare, sognare, rimanere deluso, rinunciare e poi tornare a lottare.
E così anche questa esperienza è finita. Ma cosa ho lasciato là? Ho lasciato un amore innanzitutto. È inutile nascondermi: al mondo e a me stesso… occultare, negare, fingere…lo sanno alcuni di voi e lo so io, per primo che ero andato là per “inseguire un sogno”, il sogno di stare con quella ragazza, conosciuta su un autobus, durante uno dei miei viaggi, proprio in Colombia…un rapporto nato “per caso” (nulla è per caso) e poi cresciuto, maturato, diventato più bello, più fantasioso…lei venne in Italia…io l’attesi fremendo di passione e di gioia, per due lunghissimi interminabili mesi. Arrivò e si fece un bel viaggio, bello, veramente, splendido, verso il sud, il magico mezzogiorno, terra di tramonti, di civiltà antiche, di terreni riarsi, di spiagge selvagge e di gente fantastica. E quella coppia mista che eravamo e che attirava l’attenzione e la simpatia di molti, la “gente di giù” la trattò benissimo. Ospitalità, gentilezza, cuore aperto. E ricordo l’Etna e il Parco Nazionale d’Abruzzo e Campo Imperatore e il Volo dell’Angelo e tante di quelle cose che mi fermo qui, perché il post è sulla Colombia e sul mio cuore rimasto là e sennò va a finire che il cuore lo lascio invece giù in Calabria, o in Sicilia, o in Basilicata.
Lei tornò in sud America. Io rimasi. Organizzai il viaggio, la mia vita, abbandonai la casa a Bologna, riportai tutto a Carrara e partii. Purtroppo qualcosa era cambiato. Ecco, qui inizia il confine invalicabile tra quello che si può raccontare e quello che…no, non si può. Qualcosa era cambiato. Punto. Ci provammo, ci ri-provammo, si fecero tentativi, ci si mise buona volontà, affetto, impegno, perseveranza. Ma non c’è niente da fare amico mio. Quando non deve andare, non va. Ce la puoi mettere tutta, Non va punto e stop. È come quelle piante che iniziano ad avvizzirsi. Perché le loro colleghe di fianco stanno bene? E gli dai acqua, concime e le metti al caldo vogliono il caldo e al fresco se vogliono il fresco ma… magari, non ce la fanno lo stesso. Noi non ce l’abbiamo fatta, e un pezzettino del mio cuore è rimasto lì, ad Alamos Norte, in quello strano quartiere delle periferie nord-occidentali della metropoli colombiana. Mi svegliavo la mattina, andavo a prendere un caffè (…ovviamente…) e mi guardavo in giro, guardavo il prato enorme di fronte a casa, le baracche di alcune persone povere che vivevano lì vicino, i buchi per le strade ed i moderni edifici che si trovavano all’altro lato della strada. “Contrasti” – pensavo. Contrasti visivi fuori, contrasti emotivi dentro di me.
Poi arrivò il giorno in cui la decisione fu presa. Era finita. Presi un taxi e mi diressi verso il centro di Bogotà. Dove avevo vissuto le altre volte. Addio Alamos Norte. Che poi nulla finisce, per carità, lo so, lo so, dai non me la fate la filippica che tutto si trasforma e le cose spirituali, e quelle fisiche e il principio di trasformazione dell’energia e compagnia bella. Lo so, ho detto. La laurea in Ingegneria l’ho presa. Non so bene come (e, soprattutto, perché!) ma l’ho presa. Però quando ti ci trovi è dura. Cassspita se è dura, proprio caspita scritto così, con tre “s”, affinché il suono sibili come quello di un serpente e riporti alla mente il veleno che ti sembrava di avere in corpo in quei momenti.
È triste, c’è poco da fare. Non faccio la vittima, ci mancherebbe altro. Però lo sappiamo tutti che facile non è. Quando ti tocca, amico mio, amica mia, ti tocca. Coraggio, tieni duro, stringi i denti, fai quello che vuoi, ma ricordati che passerà. Ecco, quello me lo ripetevo: “passerà”. Poi aggiungevo: “cambierà”. E lì mi sentivo un po’ Luigi Tenco…e me lo ripetevo: “vedrai, vedrai che cambierà” poi mi veniva da dire “forse non sarà domani”…e mi sentivo un cretino, e ridevo, e piangevo, tutto allo stesso tempo. Ed ero in Colombia. Ancora. E la casa lontana, lontana. Non cito “la casa dov’è?” di Lorenzo…non perché ho qualcosa contro di lui… anzi, nel novero delle citazioni musicali ci starebbe anche, il Cherubini, che poi in un momento così di un angioletto che mi aiuta ce n’avrei avuto pure bisogno…ma il punto è che… a differenza della sua canzone, io, a casa, non ci volevo andare affatto! Si, ho detto che stavo male, e allora? Non ci volevo andare. E non ci sono andato.
Mi sono comprato una moto. L’ho chiamata Daisy. Mica subito eh? All’inizio c’avevo in testa Tenco, e vedrai che cambierà e tutto quanto, figurati se davo il nome alla moto. E poi c’era quella gomma bucata, mannaggia…bucare una gomma, in un momento così, può diventare un problema colossale. Tu sai che la gomma si può riparare, ma sei a Bogotà, dall’altra parte del mondo e non ce l’hai mai portata a riparare una moto…però sai che si può e quindi, alla fine…smetti di farti le seghe mentali e ce la porti. Fatto. Risolto. 5000 pesos. 1 euro e 50, gomma riparata. Eh si, 1 euro e 50 ragazzi, capito perché la amo, la Colombia? Mica solo per quello, intendiamoci. Però dai, 1 euro e 50, e un caffè 1000 pesos, 30 centesimi, non è mica male. Quando sei lì senti che il tempo si dilata, la gentilezza delle persone pure, il denaro non è più così importante. Non te ne frega di vestirti bene, né di mangiare le lasagne o i cannelloni ti va bene tutto così com’è. Bevi frullati di Guanabana, 3000 pesos, 1 euro, anzi, anche meno. Tieni, grazie, prego, aaah, che buono, dicono sia pure anti-tumorale, anti-ossidante, un sacco di anti, fatto sta che è buona, la Guanabana, prova a dirti che non è buona, se rimango in Italia vado in Calabria e metto su una piantagione. Poi mi compro un carretto, passo e invece di fare “quell’uomo che gridava gelati” vado a vendere i frullati in spiaggia. Ma mica a un euro, eh? Ci faccio un business, eccome se ce lo faccio.
Ok, Elvio…ma ora concentrati, basta fantasticare…sei ancora in Colombia…sei dal meccanico che ti ripara la moto. E ora è riparata. Okey. E ho dei concerti da fare. Dai, un po’ di buona stella ce l’ho, però. Ho dei concerti, concerti al di là dell’oceano, concerti di fronte a un pubblico straniero, che meraviglia. E andiamo a suonare, allora. Andiamo ad esercitarci. Dove? Alla biblioteca Luis Arango, mi hanno detto: ti danno una sala con pianoforte gratis per studiare. Subito. Andiamo, dov’è? Nella Candelaria? Il quartiere coloniale di Bogotà? Ma non è pericoloso? Ma quale pericoloso, ma non dire cazzate, ci abitava pure Manu Chao. ora ci metto pure lui dopo i Modena e Tenco e Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti. pensa che quartetto. Te li immagini insieme i Modena city ramblers, Luigi Tenco, Jovannotti e Manu Chao? Chissà cosa verrebbe fuori. Magari ci infilo anche Battisti, giusto per il carretto con l’uomo che gridava gelati di poco fa. E così, nella mia testa, quasi inizia a suonare una melodia un po’ improbabile, un po’ melodica, un po’ spasmodica, un accordo strano, dissonante…ma Elvio, cosa stai dicendo, non perdere il filo, okey, ora hai la moto, fai i concerti ma poi? Cosa fai? Cosa faccio?
Cosa faccio, cosa faccio, cosa faccio. Mi ripetevo la domanda e me la ripetevo ancora, e ancora. E intanto, l’Universo ed il mio angelo custode, mi facevano regali. Mi chiamano per fare un seminario di crescita personale a Villa de Leyva. Pensa che bello, tutti lì a meditare, in Colombia. In più c’hai la moto…mi urla una voce nella testa… si spegne la musica e si accende la voce che mi dice vai a Villa de Leyva in moto. Ok, ci vado. Okey, dai, le cose, forse non sono così negative come sembrano.
E il primo concerto, e il secondo, e il primo seminario e poi una ragazza mi chiede di insegnarle l’italiano e poi un’altra ancora. Spettacolo. Che bello. Questo è stare in Colombia. Opportunità, bellezze, caldo, frutta, musica, gentilezza, gente che ti chiede di continuo, come stai , che ti saluta facendoti ogni tipo di augurio e… sentirsi bene! Anzi, male e bene allo stesso tempo, ma sentire che il bene prevale, che è giusto così. Che sta andando bene. Che tutto è perfetto.
E allora sai che faccio? Io mi fermo di più! Vado a migración e mi faccio estendere il visto. Vado. Funziona. E poi? Poi cosa accade? Accade che arriva un altro regalo: mi lasciano una casa dove vivere. Eh si. Me la lasciano in prestito, senza affitto, né niente. È una belle casetta sulle ande, 2000 metri da altezza, con tanti colibrí. Vado lì. Vado a spurgare ciò che c’era da spurgare, a guarire ciò che c’era da guarire. Ci rimango ben un mese e mezzo. Vado in giro in moto, medito, faccio concerti, suono la chitarra, faccio i seminari, tutto è perfetto. Ed è figo, vivere in un paese in Colombia. La gente ti conosce, ti chiede come stai, inizi a sentirti a casa.
Ma tutto cambia. “Todo cambia” dice Mercedes Sosa (ci mettiamo anche lei e lo facciamo diventare un quintetto?). E quindi torno a Bogotà. Basta Villa de Leyva. Basta paesino sulle ande. Basta persone che ti salutano per la strada. Basta pensieri tipo: “ora mi compro una casetta e quello che rimane di questa incarnazione me lo passo qui, a prendere il sole, bere rum e coltivare more”. Nossignore, niente di tutto questo. Ma perché no? Perché così lo sento, così l’ho sentito, nel mio cuore.
Eravamo ormai a fine maggio. Tornai a Bogotà e feci l’ultimo seminario di Crescita Personale. Decisi di chiamarlo… Spiragli di Luce. Non è che ci voleva un genio, forse, a capire che quello era il nome giusto. E vabbè…ognuno ha i suoi tempi. Io c’ho messo un po’ di più. Una volta sentii uno sciamano dire:
quando i semi cascano, non nascono tutti insieme. E anche quando nascono, ci sono quelli che crescono più velocemente degli altri. Ma non sono “migliori”. Poi arrivano tutti a fare i fiori e poi a fare i frutti. Ognuno compie il suo destino. Senza fretta.
Ecco, ha ragione lo sciamano, pure per me vale. E non solo per quello, pure la moto c’ho messo un po’ a decidergli il nome, però poi, un pomeriggio, mentre andavo a trovare a Bogotà la mia amica Marcela, la quale vive in un quartiere malfamato, non si capisce perché…lei sembra amare i quartieri malfamati…ma non divaghiamo, ero lì, la guardo e dico: si! ti chiamerò Daisy! Non so perché, forse perché un tempo guardavo Hazzard e mi piaceva la Cugina Daisy…e voglio dire…a chi è che non piaceva cugina Daisy?
E così mi sono messo sulla sua sella e sono partito. All’inizio, timidamente, ho fatto qualche chilometro e poi sono tornato. Avevo ancora uno di quei seminari programmati. Prendo Daisy, passo quattro notti fuori, torno a Bogotà, faccio il seminario, vado dal meccanico, vado a trovare Marcela nel quartiere malfamato e riparto. Perché tutti quei dubbi, perchè? Dai, Elvio, zitto e non rompere. Spingi sulla pedivella, dai di gas, impenna, ah no, questa non impenna vabbè, allora non impennare ma parti. Via, via, via.
E strade, e pranzi, ed emozioni, e chiacchiere, e panorami, e caffè, ed acquazzoni che ti colgono quando meno te l’aspetti. E ti fermi, metti i vestiti impermeabili, viaggi sotto la pioggia, smette, ti fermi, togli i vestiti impermeabili, riparti. E poi un tuono. Eh no, adesso basta. Che palle, io mi bagno punto e stop. E bagnarsi, che bello, di quelle docce che non avete idea. Tanto all’equatore cosa vuoi che sia un po’ d’acqua?
E gli alberghetti, e gli ostelletti, e i campeggetti, e le cascate, gli avvoltoi, le piante di caffè, la pressione delle gomme e…scusi per caso c’è un wi-fi? Mannaggia anche qui non c’è. E poi la benzina. Dai, lo so che sembrerò venale, sembrerò un tirchiaccio, ma dopo aver detto il prezzo del caffè, della riparazione gomma e del frullato di Guanabana non posso resistere a dirvi il prezzo della benzina. Eh si, ho fatto 4000 chilometri ed ho speso, udite udite, 50 euro. Complice Daisy che faceva 50 km con un litro. E non scherzo. Cosa? Te la vuoi comprare anche tu? Spiacente. In Italia non si trova. Eh già. Così è la vita.
Che esperienza! A proposito…strana la vita, eh? Ti fa regali così come ti toglie le cose, te le da in prestito quando non gliele chiedi e te le prende in prestito senza chiedertele quando tu non vorresti dargliele. Eh lo so. Ma tanto c’ha ragione lei. Quindi, Elvio, smetti di lamentarti e mettiti i vestiti impermeabili, che poi piove e ti bagni. Uffa, voce nella testa, che palle che sei! Sette anni a meditare e non l’ho ancora spenta. Forse sbaglio qualcosa? Ma no dai, non è quello. E comunque, io in Colombia ho un amico. Cioè, ne ho tanti, ma lui è speciale. Lui è uno scrittore ed è anche uno sciamano. Guarisce le persone. Ed ha scritto un libro bellissimo. Che mi fece piangere e ridere e commuovere. Eh si, in tipico stile colombiano. E mi ha invitato. Ad andare da lui. Faremo una cerimonia indigena.
Si chiama Temazcal, non lui, lui si chiama Juan Camilo, il Temazcal è la cerimonia indigena. Stupenda. Una guarigione dei nostri aspetti ancestrali. Tutti noi abbiamo parti da guarire. Non ti pensare che serve andare in Colombia e finire una storia d’amore e bucare una moto e ripararla e partire per un viaggio per avere aspetti da guarire. Tutti ce li abbiamo. Non appena nasciamo, e pure prima. Eh si, perché nell’utero, volenti o nolenti, impariamo. Sentiamo quello che pensa e prova la mamma. Avvertiamo se litiga col babbo. Ma il temazcal serve anche a questo. È quindi giù giù giù a sud, sud, sud….ecco, mi ricorda quando Vinicio Capossela cantava “sud, fuga nell’anima, tornare a sud”…vuoi vedere che con Tenco, Jovanotti, etc. etc. ora ci sbatto pure Capossela? Ma il sud di cui si parla qui è un altro sud, è il confine con l’Ecuador. Eh, già. Lì è andato Juan Camilo. Vuoi andare a trovarlo? Devi andare fino là. E va beh, andiamo.
E sole e pioggia e vento, e lacrime e risate e guarda un po’, ce la faccio, arrivo.
Ora chiudiamo gli occhi, concentriamoci. Benediciamo le sette direzioni dell’universo: l’oriente, la razza rossa e poi il sud, la razza gialla e l’occidente, la razza nera ed il nord, quella bianca, poi alziamo gli occhi al cielo, primo lato del pilastro, poi inginocchiamoci ed appoggiamo la fronte contro la terra, nostra madre, ed infine verso il cuore, verso l’interno, dove tutto risiede. Offerta, Disciplina, Trasmutazione, Saggezza. Siamo pronti, le pietre sono roventi.
Entriamo. Cantiamo. Ridiamo. Che bello. Che rinnovamento. Brucia il fuoco a qualche metro da qua, brucia il fuoco alchemico dentro di me, che tutto trasforma e tutto trasmuta. Di nuovo dentro l’utero, per guarire, per rinascere, per tornare alle origini. Per fare una iniziazione che vuol dire tornare all’inizio per smettere di essere adulti che vuol dire adulterati e tornare alla purezza, l’innocenza e la gioia dei bambini.
Ora lo sento, basta dire che abbiamo capito…le cose si sentono…ma cosa devi capire mai? Ora posso ripartire, abbandonare queste montagne imponenti, chiedere permesso, ringraziare, benedire, proprio così eh, bene-dire e cioè “dire” il “bene“, pronunciare il bene, farsi portatori del bene. È lungo questo post? Su su, non ti lamentare mio caro lettore, mia cara lettrice, lo so, hai ragione, è lunghissimo, ma che vuoi che sia? Cosa devi fare di così importante? E poi, se sei arrivato fino qui, fai un ultimo sforzo! Pensa a me, che lo sto scrivendo alle 5:15 di mattina, eh già, alle cinque e quindici A.M. che c’ho ancora in corpo il cosiddetto jet lag o, se preferisci, fuso orario che non mi abbandona. Ma guarda che domani la sveglia suona eh? Però lo sforzo di finire di scrivere lo faccio. Sforzo e passione. Preghiera e guarigione. Ecco cosa stiamo facendo. Questo post è un rituale, io mentre lo scrivo, tu mentre lo leggi, non c’è uno che officia e uno che partecipa, entrambi rendiamo possibile questo miracolo, il miracolo dell’esserci, del rendersi conto che la vita è una ed è magica, può essere beffarda e triste e tragica, ma c’è, ci siamo, siamo qui per guarire, per aprire il cuore, per aprirci alla vita stessa…
…e non importa, non importa se poi ho fuso il motore. Non importa se ci sono voluti quasi due giorni per ripararlo. Tanto, cosa dovevo fare? Ma no, c’è quella ragazza che ho conosciuto, a Cali, così bella, e forse mia anima gemella, e la voglio rivedere e poi devo tornare a Bogotà, e vendere la moto e se poi non me la comprano, cosa faccio, ho già il biglietto d’aereo, e non posso lasciare una moto in Colombia e…. silenzio.
Sssshhh… si…anche questo è un po’ sibilante, come il suono del serpente di prima, ma non è più velenoso. Non c’è più veleno. Ora c’è gioia. E allegria. E saggezza. E fiducia. E infatti, voilà, la moto è riparata. Cilindro e pistone rotto. E mi chiede 50 mila pesos di mano d’opera. E io sai cosa faccio? Io gliene do 60 mila, mannaggia. Perché? Perché è giusto. Perché la felicità sta nel dare. E io glieli voglio dare, a questo povero Cristo che è stato sotto a Daisy una giornata intera. Io un mese sopra a divertirmi e lui un giorno sotto a sgobbare. Dai, se li merita. E mi dice Dios te pague. Cosa vuol dire? Vuol dire che lo sanno, la razza rossa lo sa, sa che bisogna offrire, pregare, ringraziare, chiedere permesso, benedire, qualcuno diceva consacrare io potrei aggiungere ritualizzare, anche se il correttore me la segna errore, non importa, l’errore è non ricordarsi che la vita stessa è un rituale, che se il cielo diventa rosso fuoco quando augura buonanotte (o buon viaggio?) al sole e lo fa dall’alba dei tempi (e che paradosso che lo faccia dall’alba dei tempi…) non si capisce perché noi dobbiamo iniziare a mangiare senza ringraziare o non dare al meccanico quello che si merita, al posto di quello che ci chiede. E quindi. Dios te pague. E Dios mi ha pagato eccome, certo che mi ha pagato. In mille modi. Quali? Beh, su questo manterrò il segreto.
Non so se mi sono spiegato. Nei giorni dopo sono stato ospitato in un hotel da sogno, dove ho conosciuto Aldo, il proprietario, un pugliese che ha aperto quel piccolo paradiso, e Arianna, la figlia, italo-spagnola, che l’ha raggiunto per insegnare yoga ai clienti dell’albergo, sono riuscito a vendere Daisy…eh, lo so…anche a me è andato via il cuore, però non potevo lasciarla là. Grazie Daisy, grazie di tutto. Grazie lunghe strade colombiane. Grazie agli spiriti di quei territori che hanno avuto cura di me.
E’ stata un’esperienza che non dimenticherò e ciò che ho raccontato non è che una piccola parte di ciò che ho vissuto. Ed è per tutto questo, ed anche per tutto ciò che non ho detto, che ho lasciato il cuore in Colombia.
E credo proprio che prima o poi me lo andrò a riprendere.
Arrivederci al prossimo Spiraglio.
p.s. e se il post ti è piaciuto, dai un mi piace qui sotto:
[like_to_read][/like_to_read]
e magari condividilo con i tuoi amici. Ciao!
Elvio
Ho letto questo articolo e che dire, si rimane senza parole… ma ora che farai?
Mira…continuerò a vivere pienamente cercando di fare in ogni istante scelte siano a favore della mia felicità e della mia crescita…
Hai detto che é lungo il post? Anzi, si lasciava leggere velocemente! Mi sono divertita hai catturato la mia curiosità dietro il consiglio di Massimo della Penna! Sei bravo acuto e perspicace e si percepisce una bontà d’animo che non ha eguali! Auguri!
Grazie mille per queste tue parole così belle Adele…beh, è “lunghetto” ma sono contento che il dipanarsi degli eventi non risulti pesante, passa quando vuoi a “trovarmi” qui sugli spiragli 🙂
Io dico che c’è….uno che officia e uno che partecipa…è la vita, quella che non possimao programmare, costringere, pensare…è quella che arriva. (punto) ci piaccia o no.
E la viviamo.
non ho capito il tuo commento 😀 😀