Oggi voglio fare una riflessione sui concetti di povertà e di ricchezza, su come questi si connettono con il lavoro e su come è possibile cambiare ottica grazie al concetto di comunità
In questo spiraglio voglio partire “a bomba”: il punto focale riguardo questo argomento, credo, è che abbiamo perso il senso di comunità.
In una comunità non si pagano le cose necessariamente ed unicamente col denaro. Una comunità basata sul dare implica il ricevere.
In una comunità del genere non si fanno contratti, perché si vive con un obiettivo comune. Abbiamo sempre pensato, finora, che ci volessero tanti soldi per poter vivere. Non a caso per chiedere che lavoro fai diciamo: “cosa fai per vivere”?
Ma la parola vivere contiene, come credo dentro di noi ben sappiamo tutti quanti, significati molto più profondi di questo.
Ad un certo punto, qualche anno fa, il denaro ha iniziato a scarseggiare e siamo entrati tutti in crisi perché credevamo (e ci avevano fatto credere) che fosse l’unico modo per, come si suol dire, “arrivare a fine mese”.
E invece no, credimi, è una balla colossale. Adesso se hai bisogno di un idraulico o di un meccanico o di qualcuno che ti fa le pulizie chiami uno sconosciuto e lo paghi con i soldi con cui a te pagano per stare otto ore in un ufficio. Ma se quelle otto ore, o parte di esse, le usassi per costruire una comunità?
In una comunità che si basa sulla condivisione di valori, su un obiettivo comune e sul santo valore del dare tutti collaborano.
La babysitter magari ha bisogno degli ortaggi che puoi produrre tu nel tuo orto e il meccanico magari ha bisogno che gli aggiusti il computer quando si rompe. Personalmente ho fatto e sto facendo dei tentativi. Non so dire se sia possibile o meno vivere senza soldi (anche se esistono esperienze di persone che lo stanno facendo!), ma non credo che sia questo il punto.
Infatti, un obiettivo praticabile e raggiungibile, ottima via di mezzo tra il lavoro sfrenato e il vivere senza denaro, esiste e si chiama downshifting, che letteralmente significa scalare di marcia, e specificatamente verso la marcia inferiore.
Traslato in questo ambito acquisisce il significato di ridurre il carico di lavoro, accettando uno stipendio più basso e dedicando il tempo libero che si viene a creare ad attività di auto-produzione di beni (come cibo, saponi, ecc.) ed anche, almeno nell’ottica che preferisco al mettersi in comunità, mettendo in comune quindi competenze e capacità.
Se mi voglio comprare una bella macchina fotografica mi servono i soldi, in questo caso è innegabile e va bene: li metto da parte e la compro. Ma è sbagliato pensare che i soldi servano per tutto. Che senza di essi non possiamo muoverci, uscire, mangiare e vivere. Siamo poveri perché ci siamo auto-obbligati a dover dare continuamente delle somme di denaro a sconosciuti in cambio di beni o servizi.
La ricchezza non si costruisce necessariamente con uno stipendio più alto.
Quell’aumento a cui ambisci, ottenuto in cambio di sacrifici o umiliazioni, potrebbe essere una condanna anzi che un premio, potrebbe farti ammalare, rovinarti la vita. Chiediti piuttosto che cosa è davvero necessario e come fare per ottenerlo diversamente. Partendo da relazioni umane che ti diamo pienezza del vivere, rapporti soddisfacenti e basanti sul aiuto reciproco, sul dare senza volere nulla a cambio.
È possibile. Credimi. Lo è eccome.
Ti è piaciuto questo spiraglio? Se si, dagli un mi piace. Grazie
[like_to_read][/like_to_read]
Di questo argomento ne parla approfonditamente l’autore Simone Perotti, in un bellissimo libro in cui si parla anche di alternative del vivere e di autoproduzione dei beni di consumo.
Lo trovi troverai recensito in questo post: Ufficio di scollocamento: Cambiare vita salvando noi stessi e il Pianeta.
Grazie ed arrivederci al prossimo spiraglio.
sono nata e cresciuta in provincia, spazi ampi e tanti chilometri per raggiungere qualsiasi cosa e soprattutto gli amici, ho lavorato per tanti anni a Torino, che amo e adoro ma per vivere ho scelto una frazione in campagna di un paesino piccolo…
Siamo 5 famiglie, una accanto all’altra, con bambini che vanno dai 5 ai 15 anni, abituati a vivere fuori tra strada e campi, a casa di uno o dell’altro; spesso facciamo cene e dopo cena fuori davanti al cancello di qualcuno a scelta, la sera c’è il rito del caffè insieme… fuori per strada, seduti a terra o sul marciapiede. Tutti quanti abbiamo l’orto ( il mio è un disastro!) e qualche albero da frutta ed è scontato, quando matura tutto, scambiarlo e passarlo… se qualcuno ha un impegno c’è una famiglia a disposizione per dare un’occhiata ai bambini… la condivisione insomma è all’ordine del giorno.
Siamo persone molto differenti, ognuno di noi ha amici al di fuori della “nostra via” ma quello che ci rende uniti è la voglia di condividere, di darsi una mano…
Tutto ‘sto pippotto per dire: si può, con calma, piano piano si può condividere il tempo e gli spazi, le risorse e anche i problemi…
Buona giornata
Tati
Credo che ormai sia impossibiler vivere senza soldi.
Anche la comune ha bisogno di soldi, anticamente non si pagava si barattava, ma poi la comune doveva produrre qualcosa da vendere per poter comprare ciò che serviva.
No, presumo, anzi ne sono convinta, non si può vivere senza soldi, diciamo che dovremmo tornare a dare il giusto peso a tutto, denarp compreso.
Ciao Penelope,
l’idea non è vivere senza soldi, se mi devo comprare un computer (e non me lo prestano o regalano, non si sa mai…) ho bisogno di denaro, il punto piuttosto è ridurre la dipendenza dal denaro e sostituirla con relazioni soddisfacenti…che possano creare una piccola rete. L’idea di “comune” per me è superata, è un concetto di 50 anni fa, invece di imitare il passato possiamo creare qualcosa di nuovo, una rete, fisica e/o virtuale di persone con un obiettivo comune. Grazie come sempre per i tuoi commenti e la tua partecipazione…
…p.s. già questa è una rete 😉
Infatti è dare il giusto alla vita (ce la faremo mai?)
Un abbraccio.
claro que si! 😀