Uno spiraglio che nasce da una bella riflessione, letta in un bel libro. Quale riflessione e quale libro? Scopriamolo subito:
“Prendo un carbone ardente con la mano, mi brucio, soffro, però non collego il dolore al fatto che sto tenendo il carbone, non lo lascio andare e continuo a soffrire. Basterebbe capire che tutta la nostra sofferenza quotidiana è dovuta all’afferrarsi ad un’idea, un ruolo, una persona, un oggetto…per decidere di aprire la mano, lasciarlo cadere e smettere di star male”.
(Salvatore Brizzi)
Il significato del carbone e l’origine della sofferenza
Ciao a tutti e tutte,
un saluto dalla Colombia, precisamente da Villa de Leyva. Solo un veloce mini-spiraglio, quello odierno.
La frase l’ho trovata su Risveglio, terzo libro della trilogia di Salvatore Brizzi.
Cos’è che ci fa soffrire nella vita? Le cose che accadono o come noi le viviamo? Cosa rappresenta il “carbone” della frase?
Rappresenta i vari eventi a cui siamo attaccati.
Anzi, oserei dire afferrati. Questa parola è un po’ difficile da intendere: in spagnolo ne esiste una: “apego” che significa rimanere “accattati” anche in senso metaforico, rimanere “legati”, “ancorati” a qualcosa o a qualcuno, non riuscire a liberarsi di un’idea, un oggetto o un sentimento. Insomma, quello che da noi di solito viene chiamato attaccamento.
In italiano si traduce solitamente con “distacco“.
A mio avviso, però, non rende bene l’idea perché distacco significa anche disinteresse. E c’è una bella differenza tra non essere attaccati a qualcosa o qualcuno ed essere disinteressati, quindi, magari indifferenti.
Il contrario di apego in spagnolo è desapego. Molto meglio di distacco, meglio anche di non attaccamento. Se la dovessi coniare io, ora, qui, direi disattaccamento. O forse, sai cosa direi? Una cosa tipo: incondizionatevolezza. Difficile da leggere vero? L’essere incondizionati, il non porre condizioni. Se non le poni, non sei attaccato. Ma torniamo al dis-attaattaccamento, che forse è la forma più facile di dirlo.
Essere dis-attaccato da qualcosa o qualcuno è diverso da essere distaccato (indifferente): amo questa cosa/persona ma non sono attaccato, non mi afferro, non lego la mia felicità ad essa. Secondo molte tradizioni spirituali l’infelicità non è data ciò che accade, bensì da questo afferrarsi a ciò che accade.
Non è la partner che mi ha abbandonato a farmi soffrire e neppure è il ladro che mi ha appena sottratto il portafogli a provocare la rabbia che sento, bensì, rispettivamente, il mio afferrarmi alla relazione ed il mio attaccamento al denaro.
Forte come affermazione, vero?
Lo so, è difficile da capire e da sentire, perché fin da piccoli abbiamo sempre interpretato le cose al contrario.
La causa sembrerebbe risiedere in ciò che accade all’esterno, mai in noi. Eppure, se ci guardiamo dentro, tutti sappiamo che abbiamo sviluppato un attaccamento ad oggetti, soldi, casa, amici, famiglia, idee, schemi mentali e chi più ne ha più ne metta. E quindi?
Che fare?
C’è solo una cosa che possiamo fare: lasciamo andare il carbone. Apriamo la mano.
Ecco il significato della frase: se perdiamo il lavoro, un altro ci starà aspettando, sicuramente migliore del primo. Non afferriamoci alla nostalgia ed alla sicurezza che questo ci dava. Se finisce una storia d’amore, un’altra sarà già pronta per iniziare. Lasciamo andare quella di prima.
Tutto esiste nel potenziale.
La difficoltà maggiore è percepirlo…ma tutto già esiste, se solo lasciamo andare, se solo apriamo le porte del presente. Questo luogo attuale in cui risiediamo mentalmente ed emozionalmente è solo una pallida imitazione del presente. Apriamo ogni giorno la finestra ed invece di vedere il panorama di oggi cerchiamo di ritrovare quello di ieri. Proviamo per una volta ad evitare di confermare la realtà che conosciamo. Inventiamone una nuova. Lasciamo fluire…
…e soprattutto…lasciamo andare il carbone 🙂
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Arrivederci al prossimo spiraglio
Un articolo legato ai temi che tratta Brizzi: Lavorare su se stessi: cosa significa e come farlo
Sul viaggio in sud America: Viaggio in moto in Colombia, le bellezze della Cundinamarca (foto-spiraglio)
consapevolezza=responsabilità
saluti 🙂
oooh, caro equilibrista, quanto tempo…come stai?
non ci si lamenta.. come raccomanda anche Brizzi 😉
hehehhee, esatto…anche se a volte me lo dimentico (tipo..se ho fame, come ora…è facile che me lo dimentico…)
ahahah… siamo umani imperfetti, mettiamola così… buona cena
imperfettissimi…era il pranzo…qui siamo sei ore indietro 😉
ahhhhhhhh…… pensavo fossi ancora in Italì… 😀
eh no, in Colombia caro, questa foto è stata scattata qualche giorno fa, ormai al tramonto, altrimenti sarei stato in maglietta 🙂
…è la famosa scelta tra resistenza e resa…
esatto 😉
Ciao, Elvio. Mi piacciono molto sia la tua riflessione che la tua conclusione, ben racchiuse in questa frase: “…la causa della sofferenza non sta in ciò che accade, bensì in questo afferrarsi”; questo mi ha ricordato un’immagine, a cui faccio spesso riferimento: credo tu conosca la storia indiana della scimmietta che infilando la mano nella noce di cocco, svuotata per contenere del riso, rimane intrappolata perché il buco della noce è abbastanza grande per infilarci la mano vuota, ma non tanto da toglierla perché esca chiuso a pugno piena di riso. Se solo la piccola scimmietta capisse che la soluzione è letteralmente a portata di mano…Così, a volte, noi.
hahahaha, no, non la conoscevo…molto bella come storia. Grazie mille 🙂